Per la prima volta in Italia, una dipendente pubblica ottiene un permesso retribuito per assistere il cane malato
Nella maggior parte delle aziende, la richiesta di un permesso di lavoro per motivi di salute si estende solitamente solo al dipendente ammalato. Una regolamentazione che, tuttavia, potrebbe presto cambiare e includere anche un altro importante membro della famiglia che, solitamente, non viene valutato dal posto di lavoro come "una priorità" quando si ammala: il proprio animale domestico. Fino ad ora, il proprietario dell'animale non poteva giustificare la propria assenza con i problemi di salute del suo cane o gatto; ora, qualcosa potrebbe cambiare in Italia, grazie alla storia di Anna, una bibliotecaria di 53 anni dell'Università La Sapienza di Roma, la quale ha ottenuto un permesso di lavoro di due giorni per potersi prendere cura della sua cagnolina malata.
via Facebook / LAV
La signora Anna è una dipendente pubblica che lavora come bibliotecaria all'Università della Sapienza di Roma, single e con un cane di 12 anni a cui badare. Proprio il suo cane si era ammalato gravemente e aveva bisogno di un intervento medico veterinario urgente, così Anna ha chiesto un permesso retribuito di due giorni di assenza, senza successo. La donna non si è persa d'animo e si è rivolta con qualche speranza all'associazione per la protezione degli animali LAV, in cerca di aiuto. Non voleva perdere il lavoro ma, allo stesso tempo, aveva necessità di occuparsi della sua cagnolina che era stata operata.
"Avevo chiesto il permesso retribuito spiegando onestamente per cosa mi serviva, ossia per la cura dalla mia cagnolina malata. Poi mi sono accorta che invece mi avevano imputato quei giorni come ferie e mi sono arrabbiata per una questione di principio", aveva raccontato Anna ad alcuni amici che le consigliarono di chiamare la Lav e il suo presidente Gianluca Felicetti che ha messo in moto i legali. "Abbiamo rintracciato alcune sentenze della Cassazione che stabilivano che la mancata cura di un animale configura i reati di abbandono e maltrattamenti", conclude Felicetti.
Una grande conquista, dunque, in quanto il permesso concesso ad Anna è stato motivato da "un grave motivo famigliare e personale".