La cattiveria è un istinto che si combatte con l’empatia e si annulla con la scelta
Ogni individuo ha dentro di sé luce e oscurità, ha la capacità di lasciare questo mondo in condizioni migliori o peggiori di come lo ha trovato. Tutto dipende da due fattori, il primo è quello di considerare la realtà al di fuori di sé stesso, abbracciando l’empatia e imparando a comprendere che i propri simili sono esseri emotivi i cui sentimenti meritano altrettanta cura e rispetto. Il secondo è la scelta, decidere di essere strumento di bene o di male.
Nel 1974 a soli 23 anni, Marina Abramovic, artista di origine serba, diede vita ad una discussa performance chiamata “Rythm 0” in cui si presentava immobile per 6 ore davanti ad un pubblico che sarebbe stato libero di agire senza che lei reagisse. Sul palco era stati collocati oggetti concepiti per infliggere dolore (lame, coltelli, perfino una pistola carica con un proiettile) e altri per suscitare sensazioni di piacere (fiori, piume, ecc).
L’idea era far decidere alle persone quali oggetti utilizzare e in che modo, in un contesto in cui un essere umano si trovava inerme alla mercé di chiunque. Inizialmente la gente si limitò a scattare foto o a toccarla, ma la performance degenerò rapidamente, fino a che qualcuno arrivò a spogliarla, umiliarla e ferirla. Il pubblico allora si divise, tra quelli che la provocavano e aggredivano fisicamente e quelli che la proteggevano, asciugando le sue lacrime o mettendo cerotti sui suoi tagli.
L’esperimento mostrò cosa può accadere quando si lascia sfogo agli istinti umani, terminando poi dopo 6 ore, quando Marina ricominciò a muoversi, fissando negli occhi le persone intorno che via via si allontanarono. Poco prima uno spettatore era giunto al punto di prendere la pistola, mettendola nelle mani dell’artista. Quell’happening teatrale rivelò senza dubbio che in tutti esiste il germe della cattiveria e della violenza, ma che questa energia primordiale può essere gestita decidendo come primo atto di “non nuocere”, sviluppando poi questo concetto ad un livello superiore, addirittura con l’intervenire scegliendo di difendere.
La rabbia che cova nelle persone, la tristezza, la disillusione, lo sconforto, la collera per la propria condizione, spesso fa credere di avere il diritto di potersi vendicare verso gli altri, per restituire un po’ di quella sofferenza subita. Se però ci si rispecchia davvero nel prossimo, si comincia a capire che non si è circondati da nemici e minacce, che nella maggior parte dei casi non ci sono colpevoli, ma che si è responsabili del proprio destino.